27 Luglio 2024

Leggo oggi su facebook vari commenti positivi sull’azione del Parco dell’Arcipelago di “sradicamento” dei fiori di Garibaldi dalle dune della Trinita. Tutti a discettare sulla bontà di ripristinare lo stato del paesaggio, così come spiegano gli studiosi. La dimostrazione plastica di quanto oggi tendiamo ad essere statici e a volere statica anche la natura che ci circonda. Ma dò a tutti una brutta notizia: non siamo immobili nel tempo e nemmeno la natura lo è. La dimensione del tempo, della durata che ci interconnette con uno spazio fisico è un elemento cardine nella costruzione del nostro legame con i luoghi. Un legame che richiama anche l’altra dimensione, quella del vissuto personale che crea radici, che porta alla formazione del sé tramite il quotidiano essere nei luoghi, l’essere impastato dai luoghi, che condurrà alla definizione di sé attraverso i luoghi. Dal profilo di un paesaggio, da ciò che lo sguardo conserva nella memoria e che continueremo a cercare nel cammino della vita, scaturisce il rapporto nostalgico con i luoghi. Questo per dire che nella memoria degli abitanti de La Maddalena e per i turisti innamorati dell’isola, il fiore di Garibaldi rimanda alla memoria storie passate personali e collettive e sta dentro le immagini che ognuno di noi porta dentro di sé quando pensa a quella spiaggia. Tutelare non vuol dire immobilizzare un luogo naturale, sradicarne le “radici”, come se non fosse in relazione con gli umani! E’ un atto di protervia in nome di una scienza disumana, laddove è umana la relazione emotiva, sentimentale con il paesaggio naturale. Nella terra di Maria Lai, della sua arte relazionale, del suo “Legarsi alla montagna” opera visionaria e concreta di cambiamento del paesaggio e delle persone, fare dei luoghi che ci circondano dei musei senza né tempo, né memoria, è un delitto.

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