27 Luglio 2024

Appuntamenti cruciali attendono la Sardegna nel prossimo anno, il 2024, a partire dalle elezioni regionali di Febbraio, a continuare con le amministrative dei grandi comuni e a finire con le Europee di Giugno. Un momento cruciale per invertire i punti di debolezza (tanti) in punti di forza (pochi) che hanno caratterizzato l’ultimo decennio disastroso dell’isola. In un’Italia, grande “malata” d’Europa, la Sardegna, che conta meno del 2% del Pil nazionale, procede come una lumaca ed anzi, in seguito alle ripetute crisi economiche, inizia a muoversi come un gambero. L’economia della Sardegna, molto piccola, fortemente dipendente dall’intervento pubblico e legata a filo doppio all’andamento dell’economia nazionale, procede infatti a passo di lumaca, con dati allarmanti in molti settori vitali per la Regione. Il dato demografico, il più basso tra le Regioni italiane, che ha registrato una riduzione continua negli ultimi decenni, con a fronte, un calo continuo dei residenti nell’isola. Una condizione che investe tutta la Sardegna, ma diventa ancora più drammatica nelle zone rurali dell’interno, dove alle ridotte opportunità di lavoro si aggiunge la mancanza di servizi essenziali. Il peggioramento delle condizioni di sopravvivenza in quella che è (era?) “l’isola dei centenari” vanno inevitabilmente ricercate nella vera e propria crisi delle strutture sanitarie e nella perdita di capacità di intervento del Servizio Sanitario Regionale, soprattutto per le patologie croniche e i servizi di emergenza. In Sardegna quasi due cittadini su dieci nel 2022 hanno rinunciato ad una prestazione sanitaria, pur avendone bisogno, perché costava troppo e non potevano pagarla o perché la lista d’attesa era troppo lunga. Il Servizio Sanitario Regionale è peggiorato in termini di efficacia nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e questo “grazie” all’incapacità politica e amministrativa di chi ha governato l’isola nell’ultimo decennio. Quindi in Sardegna si nasce di meno e si muore di più. Invertire questa tendenza abbisogna di interventi che favoriscano le opportunità di lavoro nell’isola in modo da ridurre la fuga di giovani qualificati e di attirare investimenti e progetti sostenibili per le persone e non per i profitti, come si è fatto testardamente fino ad oggi. Facilitare l’occupazione non solo dei 73mila disoccupati “ufficiali” ma anche degli oltre 100mila occupati potenziali. Sono urgentissime le politiche attive per il lavoro che aiutino a migliorare la qualità dell’offerta (istruzione e formazione) e che incentivino la domanda delle imprese, in particolare verso contratti di lavoro stabili (gli unici che danno prospettive di costruzione del proprio futuro ai giovani). Questo significa incrementare le politiche di destagionalizzazione nel turismo che è l’unica voce positiva e dare ai lavoratori stagionali (fino ad oggi costretti ad usufruire dei sussidi statali nei mesi “morti”) la sicurezza di un tempo indeterminato e possibilità di progettare il proprio futuro e quello dei propri figli. Perché questo succede oggi in Sardegna: nessuno può con certezza progettare il proprio futuro. Non parliamo poi di poterlo realizzare, perché questo è puro miraggio! Un quadro negativo e in peggioramento continuo (non abbiamo nemmeno accennato all’istruzione, ai trasporti e all’accessibilità interna) in cui la Sardegna risulta molto indietro in tutti gli indicatori. A questo punto sorge spontanea una domanda: arrenderci a rimanere tra i fanalini di coda dell’Europa, a “sopravvivere” in condizioni di ritardo di sviluppo e sempre più dipendenti dall’assistenza di un settore pubblico inefficiente, oppure provare ad alzare la voce e ad invertire finalmente questa tendenza? La sfilza di appuntamenti elettorali di inizio anno 2024 potrebbe permetterci di mandare a casa l’inesperienza, la goffaggine, il pressappochismo dei cattivi amministratori che hanno governato l’isola e dare un segno di “esserci”, per il bene di questa terra meravigliosa e sofferente. La campagna elettorale per le regionali di Febbraio sta muovendo i primi passi e gli schieramenti, la sinistra con il sogno del campo largo, il centro e la destra che esce disastrata e colpevolmente assente dal governo regionale degli ultimi cinque anni, stanno iniziando a definire le proprie strategie, mostrando, anche in questo momento così importante per la politica regionale, di privilegiare la forma alla sostanza, laddove la forma sono le candidature, i nomi, gli equilibri tra gli interessi personali e particolari e la sostanza sono i fatti concreti per far rinascere cittadini e territori. A guardare questa competizione con un ghigno beffardo, il convitato di pietra di tutti gli ultimi appuntamenti elettorali: l’astensionismo, che in Sardegna sfiora la clamorosa soglia del 50% e che mette in atto l’ultima forma di protesta ormai incisiva: rimanere a casa. Invertire questa situazione e farsi largo tra gli illusionisti e i politicanti di professione, in una crisi conclamata dell’intero sistema Sardegna e per restituire ai sardi la voglia (sì, la voglia) di tornare ad attivarsi per il bene comune è difficilissimo ma, come ha detto Papa Francesco in un suo viaggio di tanti anni fa nell’isola “non lasciatevi rubare la speranza” perché la rinascita della Sardegna, come affermava Emilio Lussu “sarà più opera dei sardi e di quanti vivono con loro che non dei governi di Roma”.

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